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Lettera della figlia di Angelo canori dopo le iniziative che hanno ricordato il volontario impegnato per decenni nell’accompagnamento dei carcerati.

«SORRIDIAMO PENSANDO A QUANTI BAMBINI PORTANO IL NOME DI ANGELO»

A nome della mia famiglia, di mia madre Santina e di mio fratello Stefano, desidero esprimere a tutte le persone coinvolte a diverso titolo nella cerimonia che si è svolta venerdì in Loggia e nella redazione del libro su mio padre, «Angelo Canori», il nostro ringraziamento per aver ricordato la figura di nostro padre a tre anni dalla sua scomparsa. Dagli scritti riportati nel bel volume e nelle parole delle persone che abbiamo avuto modo di incontrare in questi mesi e che sono riecheggiate nel salone Vanvitelliano è emerso il tratto più caratteristico di nostro padre: il suo essere testimone attivo di un richiamo evangelico che non si è mai sopito in quarant’anni di impegno sul fronte del bisogno degli ultimi. Per nostro padre non esisteva l’equiparazione che molti, troppi, fanno tra il reato commesso e la persona. La sua eredità morale che cerchiamo di raccogliere e che al centro dell’azione di ognuno di noi deve esserci la persona, con le sue prerogative e anche le sue debolezze. Angelo Canori ce lo hai insegnato con la sua testimonianza. Con il suo impegno fatto di oltre 52mila colloqui svolti con i detenuti, di cui almeno 40mila seguiti in prima persona e riportati alla vita attraverso il lavoro. Alla vita vera, fatta di relazioni, di rispetto, di soddisfazioni guadagnate giorno dopo giorno. L’eredità che cerchiamo di costruire come bene prezioso è questo sapere: questo superare le inibizioni e andare oltre il reato e guardare alla persona. Sorridiamo pensando a quanti bambini battezzati con il nome di Angelo abbiamo conosciuto in questi anni: la maggior gratitudine offerta a quel volontario con la barba, a volte burbero nella sua determinazione, ma sempre con il cuore aperto, è stato per molti ex detenuti dare il suo nome al proprio figlio. Così conosciamo un Angelo africano, oggi eccellente professionista in Sudan, un Angelo cinese, ora noto commerciante in Germania con la madrepatria. E ancora Angeli albanesi, moldavi, egiziani. Ma abbiamo anche conosciuto che il bene non ha appartenenze o confini, come non li aveva nostro padre: in tempi di coronavirus resta attuale un suo messaggio, «Il bene è contagioso: chi fa del bene ottiene del bene, come in una reazione a catena». Anni fa partecipai ad un raduno di motociclisti con mio marito. Gli organizzatori regalarono una curiosa maglietta con disegnata sulla schiena una sola ala. Già, ma per volare si deve avere almeno due ali. Quindi per essere angeli alla fine ci si doveva abbracciare… Questo nostro padre ce lo ha insegnato nei fatti. Tutti quindi possiamo essere angeli, ma solo se impariamo ad abbracciarci… grazie.

Sara Canori