È stato recentemente pubblicato dal CE.DO.C. un volume collettaneo dal titolo «Angelo Canori, testimonianze e scritti». Il testo è ovviamente un ricordo di Canori, ma non ha voluto essere, a mio avviso riuscendovi, soltanto commemorativo; la mancanza del signor Angelo, infatti, costituisce ancora oggi, a distanza di 30 mesi dalla sua scomparsa, un vuoto notevole per il volontariato penitenziario bresciano. Serviva quindi che il suo esempio fosse messo a disposizione di tutti coloro che si cimentano in questa non facile opera di attenzione verso il mondo dell’esecuzione penale, in modo da farlo diventare un insegnamento, e questo scritto ci riesce.
Sono consapevole del fatto che potrebbe apparire riduttivo ricordarne il solo impegno come volontario penitenziario, poiché Canori, è stato uomo della risposta ai bisogni umani, in molti degli aspetti in cui essi si manifestano; tuttavia per me, che ho avuto la fortuna di affiancarlo a lungo negli anni della sua presenza in Carcere e Territorio, questo è l’elemento che genera un ricordo e un apprezzamento indelebili. Egli scelse, con la propria esistenza, non con un pezzetto seppur importante, ma con l’interezza della sua esistenza, di sperimentare l’impatto della solidarietà fiduciosa a favore di un cambiamento radicale nelle altrui vite, comprendendo che tale offerta di solidarietà avrebbe dovuto e potuto passare solo attraverso la modifica dei determinismi soggettivi e oggettivi che governano le scelte, anche quelle sbagliate.
Canori ci ha insegnato che l’apporto del volontariato penitenziario, indipendentemente dalle appartenenze religiose, dalle coscienze etiche e dalle consapevolezze giuridiche che lo muovono, deve avere come perno e snodo del proprio intervento la valorizzazione della dignità di ogni persona, anche e soprattutto se si tratta di una persona condannata per aver commesso un reato.
«Il recupero dei detenuti è qualcosa a cui non si può rinunciare. Guai alla società che infligge una pena fine a se stessa» — era solito dire il compianto Presidente del VolCa. In questa prospettiva egli ha sempre promosso, pungolando chi doveva essere pungolato, l’idea di una comunità che deve sapersi fare carico della propria funzione attiva rifuggendo la tentazione, così facilmente riscontrabile, del chiamarsi fuori, schermandosi dietro l’indifferenza o, peggio, la diffidenza e il pregiudizio. Il volontariato che Canori ci ha insegnato non è e non sarà mai solo quello dei bisogni immediati delle persone, cui comunque va data una risposta, ma si erge su un’opera costante di sostegno e orientamento della persona per consentirle di reperire la capacità, presente in ciascuno di noi, di emanciparsi dalle proprie difficoltà per costruire il proprio domani, partendo da un coerente inventario delle risorse disponibili. Ovviamente è sempre stato pronto ad aumentare tali risorse, ma non ha mai rinunciato a far comprendere il senso di un atto d’aiuto, anche in termini di responsabilità, a chi ne era destinatario.
Parimenti ha sempre agito per far capire alla comunità, dai vertici amministrativi al semplice cittadino disorientato, il significato profondo di tale responsabilità. Il suo volontariato è così diventato una scelta di fede e di passione, come ricorda una degli autori, dimostrando la sua «saggezza, la volontà ferma, la capacità di decidere, l’intelligenza pratica, la severità misurata, la passione nel fare e il sano senso dell’umorismo» ma anche «la capacità di mettere in pratica soluzioni concrete, rapide, tempestive ed efficaci anche di fronte a situazioni umane e sociali particolarmente problematiche».
Un libro che consiglierei di leggere a chiunque voglia farsi un’idea dell’esecuzione penale vista da vicino, e soprattutto a chi abbia voglia di impegnarsi per renderla più umana, come ha fatto Angelo Canori.