030 42322 volca.bs@gmail.com
Mano amica del “VolCa”

Mano amica del “VolCa”

L’associazione Volontariato Carcere si lascia alle spalle un anno che non potrà essere dimenticato e riprende a erogare i suoi servizi a favore di una realtà, quella carceraria, già tanto debole e isolata.

Ripartono le attività del “Vol.Ca.”. L’associazione Volontariato Carcere si lascia alle spalle un anno che non potrà essere dimenticato e riprende erogare i suoi servizi a favore di una realtà, quella carceraria, già tanto debole ed isolata. “Se volgiamo lo sguardo all’anno passato – afferma la presidente, riconfermata per il prossimo triennio, Caterina Vianelli -, possiamo scorgere la luce dell’impegno, della responsabilità, della generosità di un servizio che, in modi diversi, ciascuno di noi ha saputo donare ad una realtà di grande emarginazione, quale è quella della reclusione”.

I colloqui con i detenuti. Nelle due strutture di Brescia e di Verziano potranno ora riprendere i colloqui con le persone detenute riguardanti informazioni di carattere generale o volti a fornire un sostegno morale e un aiuto nel percorso di reinserimento sociale, gli incontri di catechismo, l’animazione della Messa, il magazzino del vestiario, lo sportello del Segretariato Sociale sorto per iniziativa della Caritas come segno giubilare della presenza della Chiesa bresciana in carcere, il corso di sartoria e gli accompagnamenti per i permessi premio.

La sede riaperta. Potrà essere finalmente riaperta anche la sede di via Pulusella il cui personale gestisce pratiche amministrative, fornisce ascolto e sostengo anche economico a ex detenuti e ai loro familiari, offre un servizio di domicilio postale a persone prive di residenza, si occupa del rinnovo delle convenzioni per i lavori di pubblica utilità e coordina un magazzino con beni di prima necessità e prodotti per l’igiene personale.

L’accoglienza. Il “Vol.Ca.” ha in carico anche sei appartamenti per dare ospitalità a persone detenute in permesso e in misure alternative alla pena. “Abbiamo potuto mantenere aperti solo gli appartamenti, dove si sono accolti detenuti che la direzione del carcere e l’Uepe hanno preferito far uscire per limitare le possibilità di contagio”.

Le iniziative future. Nel corso dell’ultima assemblea sono state indicate anche le future iniziative che si ritiene opportuno mettere in campo. “Siamo alla ricerca di nuovi volontari necessari per avere energie nuove per lo svolgimento delle attività e cerchiamo la collaborazione con enti e istituti del territorio utili per aumentare la sensibilizzazione su questi temi. Cerchiamo di operare per favorire il più possibile l’alleggerimento delle strutture penitenziarie, finché non arriverà a compimento la realizzazione del nuovo carcere”.

Il sovraffollamento. Attualmente nelle carceri italiane sono recluse 53.661 persone, a fronte di una capienza di 47.445. Siamo lontani dalla quota 60.000, registrata nel picco dell’anno scorso, ma la situazione desta comunque allerta, in particolare nella situazione post-pandemia. Nella particolare categoria del sovraffollamento delle carceri, una recente indagine mette purtroppo il nostro Paese l’ultimo posto. E il “Nerio Fischione” di Brescia è da sempre tra i peggiori istituti penitenziari italiani. “Le iniziative che proponiamo –  conclude la presidente – sono in linea con le affermazioni del Ministro della Giustizia Marta Cartabia quando dice che “la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti de socializzanti che comporta, deve essere invocato quale ex trema ratio”. Il tema del sovraffollamento, come afferma il Ministro, è una questione “da affrontare su una pluralità di fronti” e sono da valutare misure alternative alla detenzione, soprattutto nei casi di “pene detentive brevissime”.

Vittorio Bertoni

Vol.Ca, il ritorno in carcere ≪Ma serve un nuovo istituto≫

Vol.Ca, il ritorno in carcere ≪Ma serve un nuovo istituto≫

Sono riprese le attività degli associati dopo lo stop di oltre un anno per pandemia

I volontari dell’Associazione Vol.Ca. (Volontariato del Carcere) riprendono il loro posto nelle carceri bresciane, dopo l’anno di emergenza che li ha visti impossibilitati ad accompagnare i detenuti.

Gli effetti dell’emergenza sanitaria si sono riversati anche sull’associazione: da Febbraio 2020 i diversi servizi a favore della realtà carceraria, già tanto debole e isolata, sono stati interrotti ha evidenziato Caterina Vianelli, presidente il cui secondo mandato (triennale) è iniziato meno di un mese fa.

L’associazione – espressione della pastorale della Diocesi – si è ritrovata il 17 giugno e ha eletto un nuovo consiglio direttivo. Vianelli ha sostituito nel 2018 il presidente onorario Angelo Canori, venuto a mancare, ed oggi è affiancata da diversi consiglieri tra cui suor Isabella Belliboni (vicepresidente), Tiberio Boldrini (rappresentante della Caritas), dono Adriano Santus e don Faustino Sandrini, cappellani rispettivamente della casa circondariale <Nerio Fischione> (377 detenuti di cui 216 italiani e 161 stranieri) e della casa di reclusione di Verziano (47 uomini e 42 donne).

L’associazione Vol.Ca. offre colloqui di sostegno morale; incontri di catechismo; fa attività ti animazione pastorale e culturale; gestisce un magazzino di vestiario in entrambe le carceri. Le volontarie propongono alle detenute di Verziano un corso di sartoria e uno di arte-terapia. La presenza di Vol.Ca. vuole dunque essere non solo un supporto morale e materiale, ma anche un accompagnamento nell’ottica del recupero della persona detenuta, in linea con l’art. 27 della Costituzione, secondo cui la carcerazione non deve essere una parentesi inflitta, ma una possibilità di rieducazione e riscatto sociale ha evidenziato Vianelli.

L’attività esterna al carcere non si è invece mai fermata: fulcro è la sede dell’associazione in via Pulusella 14 (030-42322; https://volcabrescia.it), punto di riferimento per gli ex detenuti e le famiglie, i cui membri risentono tutti della carcerazione del coniugato. L’aiuto nei loro confronti può essere sia economico, si psicologico. Vol.Ca. dispone di appartamenti destinati a persone in misure alternative alla detenzione o per lo svolgimento di permessi premio; immobili concessi dal Comune di Brescia settore Servizi Sociali e dalla Congrega della Caritas Apostolica. Il reinserimento nella società attraverso opportunità abitative e di lavoro diminuisce il rischio di recidive: la collaborazione con le cooperative sociali per l’inserimento lavorativo dei detenuti, con i Servizi Sociali dei Comuni e con le parrocchie per identificare le soluzioni abitative è uno dei punti progettuali verso cui si orientano i passi dei 45 volontari (tutti con doppia vaccinazione), tra i 60 e 70 anni, cui Vianelli spera di poter presto affiancare anche un gruppo di giovani.

L’improcrastinabile problema del sovraffollamento del carcere di Brescia è tornato infine a evidenziarsi. La città ha bisogno di un carcere nuovo, organizzato con criteri di vigilanza moderni ha concluso Mario Fappani, già garante dei detenuti.

Alessandra Stoppini

I carcerati ci chiedono cose materiali ma ancor più di essere ascoltati

I carcerati ci chiedono cose materiali ma ancor più di essere ascoltati

Il vescovo Tremolada, soffermandosi sulla parola, è intervenuto all’incontro di formazione del Vol.Ca. Brescia

Il teatro della parrocchia di San Giovanni ha ospitato, lo scorso 4 giugno, l’incontro di formazione del Vol.Ca. Brescia, alla presenza del vescovo, della presidente dell’associazione, Caterina Vianelli, di numerosi volontari, dei cappellani che operano nelle carceri cittadine e delle Madrine dell’Opera Francescana. Tema dell’incontro, tenutosi nel tardo pomeriggio è stato “La parola di Dio in carcere e dal carcere”. “L’attuale situazione pandemica ci induce a pensare – ha spiegato Caterina Vianelli – che si vada verso la ripresa delle attività in presenza anche all’interno delle carceri; nel frattempo, sono proseguite tutte le nostre attività esterne, così come l’ospitalità presso gli appartamenti protetti dall’associazione” ha concluso, lasciando la parola al cappellano, don Adriano Santus, “Papa Francesco, rivolgendosi ai cappellani, ai religiosi e ai volontari del carcere, durante la sua udienza nel 2019, volle esortarci a essere “cercatori instancabili di ciò che è perduto, annunciatori della certezza che ciascuno è prezioso per Dio”. Questo dovrebbe essere l’intento di ogni volontario, ossia quello di servire le persone come se fossero immagine di Dio in terra. La parola di Dio, infatti, può cambiare l’animo e la vita di ogni persona e fornire grande supporto anche a chi si trova nella prova. I carcerati ci chiedono certamente cose materiali ma ancor più ascolto, comprensione e conforto”. A seguire, prima della lectio del Vescovo, una serie di testimonianze dei volontari che hanno sottolineato quanto l’esperienza che vivono, portando la Parola di Dio all’interno delle carceri, sia formativa e umanizzante. La riflessione di monsignor Tremolada si è sviluppata in tre momenti: il Vescovo ha spiegato il significato di tre parole simbolo quali rugiada, semente e luce: poi si è soffermato sulla parola Misericordia, per terminare con una prospettiva attuale. Quando il nostro cuore arido incontra la Parola di Dio, esso viene consolato così come accade quando il terreno secco viene a contatto con la pioggia e la rugiada; la Parola di Dio è la semente nella nostra vita e chi incontra Gesù viene conquistato dalla sua Parola ed essa porta frutto ed è luce del nostro cammino. La misericordia è la forma storica del mistero trinitario d’Amore; Dio è Misericordia e la Sua Parola è un lieto annuncio. La parola di Dio per tutti e ciò che i volontari vivono nelle carceri può diventare un dono per gli altri e contribuire a cambiare qualcosa nella società.

Brescia di Laura di Palma

PERSONE OLTRE IL MURO

PERSONE OLTRE IL MURO

È stato recentemente pubblicato dal CE.DO.C. un volume collettaneo dal titolo «Angelo Canori, testimonianze e scritti». Il testo è ovviamente un ricordo di Canori, ma non ha voluto essere, a mio avviso riuscendovi, soltanto commemorativo; la mancanza del signor Angelo, infatti, costituisce ancora oggi, a distanza di 30 mesi dalla sua scomparsa, un vuoto notevole per il volontariato penitenziario bresciano. Serviva quindi che il suo esempio fosse messo a disposizione di tutti coloro che si cimentano in questa non facile opera di attenzione verso il mondo dell’esecuzione penale, in modo da farlo diventare un insegnamento, e questo scritto ci riesce.

Sono consapevole del fatto che potrebbe apparire riduttivo ricordarne il solo impegno come volontario penitenziario, poiché Canori, è stato uomo della risposta ai bisogni umani, in molti degli aspetti in cui essi si manifestano; tuttavia per me, che ho avuto la fortuna di affiancarlo a lungo negli anni della sua presenza in Carcere e Territorio, questo è l’elemento che genera un ricordo e un apprezzamento indelebili. Egli scelse, con la propria esistenza, non con un pezzetto seppur importante, ma con l’interezza della sua esistenza, di sperimentare l’impatto della solidarietà fiduciosa a favore di un cambiamento radicale nelle altrui vite, comprendendo che tale offerta di solidarietà avrebbe dovuto e potuto passare solo attraverso la modifica dei determinismi soggettivi e oggettivi che governano le scelte, anche quelle sbagliate.

Canori ci ha insegnato che l’apporto del volontariato penitenziario, indipendentemente dalle appartenenze religiose, dalle coscienze etiche e dalle consapevolezze giuridiche che lo muovono, deve avere come perno e snodo del proprio intervento la valorizzazione della dignità di ogni persona, anche e soprattutto se si tratta di una persona condannata per aver commesso un reato.

«Il recupero dei detenuti è qualcosa a cui non si può rinunciare. Guai alla società che infligge una pena fine a se stessa» — era solito dire il compianto Presidente del VolCa. In questa prospettiva egli ha sempre promosso, pungolando chi doveva essere pungolato, l’idea di una comunità che deve sapersi fare carico della propria funzione attiva rifuggendo la tentazione, così facilmente riscontrabile, del chiamarsi fuori, schermandosi dietro l’indifferenza o, peggio, la diffidenza e il pregiudizio. Il volontariato che Canori ci ha insegnato non è e non sarà mai solo quello dei bisogni immediati delle persone, cui comunque va data una risposta, ma si erge su un’opera costante di sostegno e orientamento della persona per consentirle di reperire la capacità, presente in ciascuno di noi, di emanciparsi dalle proprie difficoltà per costruire il proprio domani, partendo da un coerente inventario delle risorse disponibili. Ovviamente è sempre stato pronto ad aumentare tali risorse, ma non ha mai rinunciato a far comprendere il senso di un atto d’aiuto, anche in termini di responsabilità, a chi ne era destinatario.

Parimenti ha sempre agito per far capire alla comunità, dai vertici amministrativi al semplice cittadino disorientato, il significato profondo di tale responsabilità. Il suo volontariato è così diventato una scelta di fede e di passione, come ricorda una degli autori, dimostrando la sua «saggezza, la volontà ferma, la capacità di decidere, l’intelligenza pratica, la severità misurata, la passione nel fare e il sano senso dell’umorismo» ma anche «la capacità di mettere in pratica soluzioni concrete, rapide, tempestive ed efficaci anche di fronte a situazioni umane e sociali particolarmente problematiche».

Un libro che consiglierei di leggere a chiunque voglia farsi un’idea dell’esecuzione penale vista da vicino, e soprattutto a chi abbia voglia di impegnarsi per renderla più umana, come ha fatto Angelo Canori.

Carlo Alberto Romano
Il Covid non ferma la solidarietà dei volontari nelle carceri bresciane

Il Covid non ferma la solidarietà dei volontari nelle carceri bresciane

Il Covid ha dato un duro colpo anche alle attività che il territorio bresciano offriva all’interno degli Istituti di pena. Da febbraio sembra siano stati cancellati decenni di iniziative e attività che il volontariato penitenziario e le realtà del terzo settore offrivano alle persone detenute. E, se ancora oggi le cautele inerenti il contagio non consentono la ripresa di molte attività interne, chi da sempre opera in favore dei reclusi non ha comunque smesso di occuparsene. Nell’ultimo anno l’associazione di Volontariato Carcere (Vol.Ca.) e la Cooperativa Sociale di Bessimo hanno continuato a rifornire di vestiario, biancheria, calzature, prodotti per l’igiene i due istituti di pena bresciani.

Lo hanno fatto su richiesta diretta della direzione e con fondi propri ma anche grazie al contributo del progetto «Insieme contro l’emarginazione», sostenuto con i fondi PON / FSE a titolarità del Comune di Brescia, che si occupa, in collaborazione con le realtà cittadine che si impegnano nell’ambito della grave marginalità, proprio della distribuzione di generi di prima necessità per le fasce di popolazione più vulnerabili. Così centinaia di mutande, calze, spazzolini, dentifrici, giubbini, tute, scarpe hanno raggiunto le molte persone detenute che non hanno modo di acquistarli direttamente o non hanno famigliari che possono inviarli da fuori.

Nel periodo del Covid anche le famiglie dei detenuti hanno potuto vedere pochissimo i loro congiunti privati della libertà: videocolloqui e lettere non possono sostituire un colloquio in presenza, non solo perché manchevoli di contatto fisico, ma anche perché un cambio di vestiti non può essere inviato via Whatsapp. Se a questo si aggiunge la chiusura del servizio guardaroba da anni gestito da volontari Vol.Ca. si può facilmente intuire come il personale di Polizia Penitenziaria si sia dovuto, purtroppo, sobbarcare anche problematiche prima non di loro competenza.

Da qui le richieste, molto più voluminose del solito, di supporto esterno nel rifornire dei molti generi di cui necessita la quotidianità. Oltre a rivolgersi all’interno del carcere, i volontari e gli operatori di Vol.Ca e Bessimo si stanno occupando anche della distribuzione di uno zaino per quei detenuti scarcerandi che, usciti dalla cella, non possono tornare a casa semplicemente perché non ce l’hanno. Per loro, doppiamente segnati dagli squilibri di questo sistema sociale in quanto ex detenuti e senza dimora, un kit con beni di prima necessitàverrà consegnato presso la sede dell’associazione di via Pulusella: sacco a pelo, materassino, zaino con alcuni generi di prima necessità ma soprattutto un contatto, un consiglio, un supporto per cercare, insieme, una via di affrancamento ed emancipazione.

La Cooperativa di Bessimo Onlus è una cooperativa sociale che opera dal 1976 nel campo del recupero e reinserimento di soggetti tossicodipendenti. Gestisce 15 Comunità Terapeutiche, 1 comunità educativa per minori e madri in difficoltà, 1 servizio specialistico residenziale per disturbi da gioco d’azzardo patologico, servizi di prevenzione e di riduzione del danno, servizi e progetti in area penale, attività e progetti sulle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. Dal 1976 la cooperativa ha accolto 7.180 persone realizzando oltre 10.100 programmi terapeutici ed educativi.

Il Vol.Ca (Volontariato Carcere)
 è nato a Brescia nel 1987 per volontà dell’allora vescovo, mons. Bruno Foresti, come gruppo di persone laiche impegnate nel volontariato e come espressione ed appoggio della Pastorale Carceraria della nostra Diocesi, che opera nei due istituti carcerari della città. Era il 1994 quando il gruppo si costituì come associazione Onlus.

(Redazione “quibrescia.it”)

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

Oggi più che mai, immersi negli incontri on line e nelle conferenze in remoto, ci possiamo rendere conto che c’è chi, scontando la sua pena in carcere, vive ancor più che in altri tempi, per motivi ormai evidenti, le limitazioni delle visite di parenti e volontari.

Nasce il fatto che sta assumendo ancor più importanza la ‘visita’ attraverso uno strumento di socializzazione e di vicinanza che per molti è passato ormai di moda: la lettera.

L’iniziativa che promuoviamo qui è denominata Opera Francescana Madrine Carcerati e ha sede proprio sul nostro territorio Bresciano (Rezzato) la quale ha come scopo quello di raggiungere i detenuti che ne esprimano il desiderio, attraverso la corrispondenza epistolare.

…da leggere e diffondere!!!

 

Intervista alla Direttrice Francesca Paola Lucrezi sulla Voce del Popolo

Intervista alla Direttrice Francesca Paola Lucrezi sulla Voce del Popolo

Dalla Voce del Popolo sul mondo carcere (del 24 settembre 2020)

   Ci  siamo  scordati  del  carcere?

Passati i mesi più duri della pandemia il viaggio in un mondo che, dopo le proteste dei primi giorni del lockdown, è stato dimenticato dai media

                                                                                                         di Massimo Venturelli

         È stato detto più volte che tra le tante sofferenze che la pandemia da Covid-19 ha portato con se, oltre a quella della morte e della malattia, c’è anche quella della solitudine. L’isolamento sociale a cui tutti sono stati costretti per tante settimane e che abbiamo superato (non senza conseguenze che oggi cominciano a essere visibili) ha lasciato su tante persone un segno, una traccia indelebile.

La sensazione di sentirsi soli, abbandonati, è una di quelle che non si dimenticano in fretta. Piano piano la morsa, però, si è allentata un po’ per tutti, tranne per che per il mondo del carcere, ancora isolato per quello che riguarda i contatti con l’esterno. Un mondo che, tra l’altro, sembra essere diventato invisibile. Perché se in questi mesi non è mancata l’attenzione, magari anche solo per la cronaca “sanitaria” per altri luoghi della sofferenza come gli ospedali, le Rsa e le strutture di accoglienza per i senza fissa dimora, di carceri si è parlato in avvio del lockdown per le violente proteste andate in scena in alcune strutture. E poi più nulla! Questa situazione è stata affrontata con Francesca Paola Lucrezi, direttrice delle strutture carcerarie di Brescia e Verziano.

Per le carceri bresciane quello del lockdown che tempo è stato?

Quelli che abbiamo vissuto sono stati mesi difficilissimi. In un ambiente ristretto e chiuso come il nostro, separato dall’esterno, un maremoto come quello che abbiamo vissuto è stato amplificato. È stato difficile far capire ai detenuti, nonostante avessero informazioni costanti date dai giornali, dalla televisione, cosa realmente stava accadendo fuori. Anche per persone abituate alla reclusione non è stato facile comprendere e accettare le limitazioni via via imposte. Non toccando, fortunatamente con mano, la gravità di quanto stava accadendo, inizialmente non hanno compreso la ragione di certe scelte. Ma con il dialogo e la disponibilità al confronto di tutte le componenti della comunità carceraria, a partire dall’autorità giudiziaria, dalla Garante dei diritti dei detenuti che, in una occasione ha potuto incontrare una rappresentanza dei detenuti, si è riusciti a far comprendere la realtà e la necessità di mettere in atto misure che scongiurassero l’ingresso del virus a Verziano.

La pandemia ha portato un cambiamento nel vostro lavoro?

Il nostro lavoro ha conosciuto uno stravolgimento totale. Siamo stati completamente assorbiti dalla pandemia; abbiamo dovuto attrezzarci innanzitutto per capire cosa stava succedendo e quali erano le conseguenze, per comprendere come applicare le direttive e le normative che il Governo, la Regione e anche l’amministrazione carceraria andavano emanando a ritmi vertiginosi e che a volte sembravano in contraddizione l’una con le altre. Il punto di forza per fare fronte a tutto questo è stata la coesione che si è creata sin da subito tra il personale e tra questo e i detenuti. 

Tutto questo ha permesso di fermare il virus ai cancelli di Verziano?

Fortunatamente sì. Abbiamo avuto pochissimi casi, che sono stati prontamente isolati, tra il personale. Per quanto riguarda i detenuti, in tutto questo periodo abbiamo avuto solo tre casi di positività al virus, per altro tutti asintomatici, che non hanno creato focolai interni, perché prontamente isolati grazie anche alla collaborazione della sanità penitenziaria che ci è stata e continua a esserci a fianco. Abbiamo potuto contare anche sulla presenza del personale sanitario di Medici senza frontiere, grazie a un progetto voluto dal Provveditorato regionale lombardo. Ci hanno consigliato al meglio rispetto alle procedure da adottare. Abbiamo fatto tamponi a tappeto per cercare eventuali casi di positività anche dove non c’erano segni evidenti della presenza del virus.

Il periodo di isolamento forzato a cui il carcere è stato costretto finirà con l’incidere su tutti quei legami stretti nel corso degli anni con il mondo esterno?

No, i rapporti consolidati che hanno alle spalle una lunga storia non sono stati intaccati dal lockdown.Penso al mai interrotto rapporto con il Tribunale di inviare tanti detenuti a misure alternative. Penso al dialogo mai interrotto con il mondo del Terzo settore che, anche nei momenti più bui, ha messo a disposizione risorse, anche proprie, per rendere possibile l’uscita dal carcere a chi era nelle condizioni di potere usufruire di questa misura. In questi mesi, poi, nonostante la sospensione di tanti progetti, non è mai venuta meno la vicinanza di tante persone legate alla realtà di Verziano.

Quale eredità lascia la pandemia al mondo del carcere?

Credo che un’eredità da non perdere sia quella della digitalizzazione. Abbiamo scoperto che tante cose che si pensavano impossibili da realizzare all’interno degli istituti, sono state utili. Penso alle videochiamate che hanno permesso ai detenuti di restare in contatto con i familiari, o al sistema della didattica a distanza usata per i percorsi scolastici, ai colloqui via internet con i volontari… questo ha aperto una strada. L’errore più grande, una volta tornati alla normalità, sarebbe quella di dimenticarsene.

Dalla Voce del Popolo sul mondo carcere del 24 settembre 2020

Dalla Voce del Popolo sul mondo carcere del 24 settembre 2020

Luisa Ravagnani. Detenuti garantiti anche nel tempo della pandemia

Luisa Ravagnani, nominata dal consiglio comunale di palazzo Loggia nel 2015 garante dei diritti delle persone private della libertà personale, e la figura che anche nei mesi del lockdown ha fatto da ponte tra i detenuto e il mondo esterno che, al di là dei legittimi interessi di famigliari e del volontariato che opera nelle strutture carcerarie, sembra essersi dimenticato di un universo che, anche solo per collocazione fisica, è parte della città. “Quelli che sono venuti con l’arrivo della pandemia – racconta – sono stati, per chi vive la dimensione del carcere, mesi di grandi difficoltà. Tutte quelle che erano le abitudini e le attività che si svolgevano all’interno delle due strutture bresciane sono state soppresse. L’assenza di ogni contatto con il mondo esterno e con le persone che quotidianamente entravano in carcere per progetti e iniziative di volontariato ha di fatto privato i detenuti di una finestra, di uno spazio di dialogo con il mondo che sta fuori”. L’aspetto che ha fatto maggiormente soffrire i detenuti, però, è stato il taglio netto di ogni contatto “dal vivo con i familiari”. Solo l’attivazione delle videochiamata ha in parte alleviato il dolore. I repentini cambiamenti imposti dal lockdown si sono fatti sentire anche sul modo con cui Luisa Ravagnani intepreta il suo ruolo di garante.

“Il venire meno degli incontri con i detenuti – ricorda – ha intensificato quelli attraverso la posta elettronica o il ricorso, in caso di bisogno, alla mediazione degli operatori carcerari”.

Molto più intensi si sono fatti invece i rapporiti con quei denuti che stavano vivendo esperienze alternative al carcere, rese più difficili dalla pandemia, e quelli con le famiglie che stavano fuori dal carcere ed erano preoccupate per la situazione dei loro cari.

“Chi ha vissuto il lockdown dentro il carcere – continua ancora la Garante – ha compreso sin da subito che le misure adottate andavano unicamente nella direzione di una maggior tutela della loro salute”. Non a caso nelle strutture bresciane non si sono registrare quelle proteste esplose anche in forma violenta in altre carceri. Questo, per Luisa Ravagnani, è stato possibile anche per la disponibilità dimostrata dall’amministrazione penitenziaria e dalla magistratura di sorveglianza nell’accogliere, nei limiti del possibile, le esigenze espressa dai detenuti. (m.v.)

 

Don Stefano Fontana. Una fede alimentata dal contatto con l’umanità

Don Stefano Fontana da un anno circa è vice cappellano del carcere di Brescia. Conosce bene quindi la vita del carcere.

Come ha vissuto il carcere questo tempo di Covid?

È stato come per tutti un cambiamento di vita forte. L’accesso al carcere ancora adesso è limitatissimo, i volontari non possono entrare. A oggi possiamo entrare solo io e don Adriano, che è il cappellano. Già per chi è dentro è un momento di solitudine, perché il carcere è solitudine forte, è lockdown. Anche chi sta fuori con il Covid ha sperimentato cosa vuol dire passare 24 ore all’interno di uno stesso edificio. Per loro sono 24 ore all’interno di una stessa cella. Il carcere con il Covid è diventato ancora più duro.

Cosa manca di più ai carcerati?

La cosa che è mancata di più è il rapporto con l’esterno, con i propri parenti. Anche se qui sono stati bravi ad attivare subito un collegamento internet per le videochiamate. Questa è una cosa che tiene un pò in vita i carcerati mantenendo la relazione con i parenti. È una soluzione cha ha stemperato le paure. Da fuori viene quella carica che permette di vivere dentro.

Come cappellani che attività svolgete?

Noi facciamo l’attività della parrocchia per i cristiani che vivono in carcere. La catechesi tre volte alla settimana, le confessioni, i colloqui, la Messa la domenica, e poi c’è tutto il percorso di accompagnamento spirituale per chi sta facendo un cammino di rinascita. La questione per noi è vivere questa Chiesa scomoda che va in carcere, che dà fastidio alla mentalità diffusa, sapendo che la ragione per cui siamo lì è quella di passare da una giustizia retributiva a una riparativa. La pastorale che facciamo ha lo scopo di riuscire a dare una risposta al male attraverso la fede cristiana. Che passa dalla consapevolezza del male fatto, per avviare un cammino di rinascita.

C’è riscontro a questa azione?

Si. Personalmente trovo molta fede in carcere, nutrita dal contatto con l’umanità che c’è lì, siamo tutti nudi in carcere. Sono contento di fare questa pastorale invisibile: in questa invisibilità vedo sia l’umanità, che la fede in Gesù Cristo. E credo che anche la comunità fuori dovrebbe interessarsi di più di questa esperienza di fede e vita sociale, e creare un ponte con il carcere. Per dare una speranza a chi è dentro e contribuire a un cammino di rinascita. In carcere ci sono esseri umani come noi.

Sergio Arrigotti

Detenuti garantiti anche nel tempo della pandemia

Detenuti garantiti anche nel tempo della pandemia

Dalla Voce del Popolo sul mondo carcere del 24 settembre 2020 –  Luisa Ravagnani

L’universo dimenticato

Luisa Ravagnani, nominata dal consiglio comunale di palazzo Loggia nel 2015 garante dei diritti delle persone private della libertà personale, é la figura che anche nei mesi del lockdown ha fatto da ponte tra i detenuto e il mondo esterno che, al di là dei legittimi interessi di famigliari e del volontariato che opera nelle strutture carcerarie, sembra essersi dimenticato di un universo che, anche solo per collocazione fisica, è parte della città. “Quelli che sono venuti con l’arrivo della pandemia – racconta – sono stati, per chi vive la dimensione del carcere, mesi di grandi difficoltà. Tutte quelle che erano le abitudini e le attività che si svolgevano all’interno delle due strutture bresciane sono state soppresse. L’assenza di ogni contatto con il mondo esterno e con le persone che quotidianamente entravano in carcere per progetti e iniziative di volontariato ha di fatto privato i detenuti di una finestra, di uno spazio di dialogo con il mondo che sta fuori”. L’aspetto che ha fatto maggiormente soffrire i detenuti, però, è stato il taglio netto di ogni contatto “dal vivo con i familiari”. Solo l’attivazione delle videochiamata ha in parte alleviato il dolore. I repentini cambiamenti imposti dal lockdown si sono fatti sentire anche sul modo con cui Luisa Ravagnani intepreta il suo ruolo di garante.

“Il venire meno degli incontri con i detenuti – ricorda – ha intensificato quelli attraverso la posta elettronica o il ricorso, in caso di bisogno, alla mediazione degli operatori carcerari”.

Molto più intensi si sono fatti invece i rapporiti con quei denuti che stavano vivendo esperienze alternative al carcere, rese più difficili dalla pandemia, e quelli con le famiglie che stavano fuori dal carcere ed erano preoccupate per la situazione dei loro cari.

“Chi ha vissuto il lockdown dentro il carcere – continua ancora la Garante – ha compreso sin da subito che le misure adottate andavano unicamente nella direzione di una maggior tutela della loro salute”. Non a caso nelle strutture bresciane non si sono registrare quelle proteste esplose anche in forma violenta in altre carceri. Questo, per Luisa Ravagnani, è stato possibile anche per la disponibilità dimostrata dall’amministrazione penitenziaria e dalla magistratura di sorveglianza nell’accogliere, nei limiti del possibile, le esigenze espressa dai detenuti. (m.v.)

L’Eucaristia: dono d’amore in carcere

L’Eucaristia: dono d’amore in carcere

Nel tardo pomeriggio di giovedì 21 novembre 2019 si è svolto a Brescia, presso la Fraternità “Tenda di Dio” in via della Lama 20, un incontro di spiritualità dei soci Vol.Ca. (Volontariato Carcere), tenuto dal Vescovo Mons. Pierantonio Tremolada.

All’incontro – che ha visto anche la presenza di don Maurizio Rinaldi, Marco Danesi e Tiberio Boldrini, della Caritas diocesana, nonché di don Adriano Santus, cappellano della Casa Circondariale “Nerio Fischione” della città, e del suo collaboratore don Stefano Fontana – hanno preso parte anche i volontari che animano la Messa domenicale nei due istituti penitenziari bresciani.

Il tema della riflessione, introdotta da Caterina Vianelli, presidente Vol.Ca., è stata la Lettera Pastorale 2019-2020 del Vescovo, dal titolo Nutriti dalla bellezza. Celebrare l’Eucaristia oggi, letta alla luce dell’esperienza del volontariato penitenziario e della realtà del carcere.

Nel capitolo L’Eucaristia e il mondo della Lettera Pastorale si legge: «L’Eucaristia rende attuale il mistero pasquale come vittoria dell’amore di Dio sulla morte e […] pone all’interno della storia il germe di una rigenerazione costante della socialità umana».

Il pane e il vino che diventano il corpo e il sangue del Signore si donano per la salvezza del mondo. Pertanto l’amore del Signore per l’umanità, che si rinnova ogni volta in cui si celebra l’Eucaristia, illumina anche la triste realtà del carcere: tra le sue mura la morte e la risurrezione di Gesù vincono il peccato e donano la vera Vita alle persone che vi abitano.

Di fronte al male compiuto – si legge ancora nella Lettera Pastorale –, alla sua consapevolezza e al suo pentimento, Dio non abbandona l’uomo, ma gli promette di non lasciarlo da solo e gli regala un futuro: la costruzione della città.

Ed è così che il volontariato penitenziario, nell’umiltà e nel limite del possibile, cerca di essere segno di questa misericordia: stare accanto alle persone che hanno commesso un reato significa accompagnarne il dolore, far maturare una presa di coscienza, aiutare in un percorso di reinserimento sociale, costruendo insieme una città fatta di legalità, casa, lavoro, relazioni familiari e sociali.

L’Eucaristia, allora, sta alla sorgente di questo impegno come un atto di amore che si rinnova continuamente, cancellando il male e facendo risorgere a vita nuova.

Al termine dell’incontro Mons. Pierantonio Tremolada ha ricevuto in dono una scultura realizzata dai detenuti di Verziano, partecipanti al laboratorio di arte, che raffigura il volto di Gesù morto, a rappresentare una sofferenza che già prefigura la risurrezione.

C.V.