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ADDIO AD ALESSANDRO ZANIBONI, UNA VITA PER LA GIUSTIZIA

ADDIO AD ALESSANDRO ZANIBONI, UNA VITA PER LA GIUSTIZIA

La notizia non è stata un fulmine a cielo sereno, ma ha suscitato commozione e dolore a Palazzo di Giustizia. Ieri mattina è morto Alessandro Zaniboni, 57 anni, magistrato del tribunale di Sorveglianza di Brescia. Da anni lottava con una malattia che lo aveva lentamente segnato nel fisico, ma non nello spirito.

Appassionato di giustizia, amava il suo lavoro ed era molto stimato dai colleghi e dagli avvocati per equilibrio e competenza. Entrava nelle scuole per parlare agli studenti e spiegare che il carcere non era la soluzione di tutti i problemi, ma che la funzione rieducativa della pena è prevista dalla Costituzione. Un modo per avvicinare i giovani a un tema complesso.

Tifosissimo del Brescia, nei corridoi del tribunale ogni incrocio era l’occasione per parlare di calcio.

Andrea Cittadini

Ricordo dei detenuti della Casa di Reclusione di Verziano del

Dott. Alessandro Zaniboni, Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Brescia

I detenuti della Casa di Reclusione di Verziano desiderano porgere le più sentite condoglianze alla famiglia del dottor. Alessandro Zaniboni per la prematura perdita del loro caro.

Siamo riconoscenti per le attenzioni che egli ha da anni dimostrato verso di noi in modo particolare per il nostro percorso di riavvicinamento alle nostre famiglie favorito dalla promozione di percorsi riabilitativi e alternativi alla pena in vista di un nostro autentico cambiamento.

Siamo portati a pensare che la vita sia bella solo se vissuta senza sofferenze, ma non è così.

Ogni stagione ha la sua bellezza ed anche nell’inverno della morte ci si ricorda che in tutto c’è un ciclo. Non esiste una definizione di ciò che è vita e di ciò che è morte. È nella sua sofferenza signor Zaniboni che avrà sicuramente trovato la vita. Anche l’universo segue il proprio ciclo di nascita e di morte e questo lo rende immortale.

Buon viaggio Dott. Zaniboni e se riesce vegli anche su di noi

 

I detenuti di Verziano

I carcerati ci chiedono cose materiali ma ancor più di essere ascoltati

I carcerati ci chiedono cose materiali ma ancor più di essere ascoltati

Il vescovo Tremolada, soffermandosi sulla parola, è intervenuto all’incontro di formazione del Vol.Ca. Brescia

Il teatro della parrocchia di San Giovanni ha ospitato, lo scorso 4 giugno, l’incontro di formazione del Vol.Ca. Brescia, alla presenza del vescovo, della presidente dell’associazione, Caterina Vianelli, di numerosi volontari, dei cappellani che operano nelle carceri cittadine e delle Madrine dell’Opera Francescana. Tema dell’incontro, tenutosi nel tardo pomeriggio è stato “La parola di Dio in carcere e dal carcere”. “L’attuale situazione pandemica ci induce a pensare – ha spiegato Caterina Vianelli – che si vada verso la ripresa delle attività in presenza anche all’interno delle carceri; nel frattempo, sono proseguite tutte le nostre attività esterne, così come l’ospitalità presso gli appartamenti protetti dall’associazione” ha concluso, lasciando la parola al cappellano, don Adriano Santus, “Papa Francesco, rivolgendosi ai cappellani, ai religiosi e ai volontari del carcere, durante la sua udienza nel 2019, volle esortarci a essere “cercatori instancabili di ciò che è perduto, annunciatori della certezza che ciascuno è prezioso per Dio”. Questo dovrebbe essere l’intento di ogni volontario, ossia quello di servire le persone come se fossero immagine di Dio in terra. La parola di Dio, infatti, può cambiare l’animo e la vita di ogni persona e fornire grande supporto anche a chi si trova nella prova. I carcerati ci chiedono certamente cose materiali ma ancor più ascolto, comprensione e conforto”. A seguire, prima della lectio del Vescovo, una serie di testimonianze dei volontari che hanno sottolineato quanto l’esperienza che vivono, portando la Parola di Dio all’interno delle carceri, sia formativa e umanizzante. La riflessione di monsignor Tremolada si è sviluppata in tre momenti: il Vescovo ha spiegato il significato di tre parole simbolo quali rugiada, semente e luce: poi si è soffermato sulla parola Misericordia, per terminare con una prospettiva attuale. Quando il nostro cuore arido incontra la Parola di Dio, esso viene consolato così come accade quando il terreno secco viene a contatto con la pioggia e la rugiada; la Parola di Dio è la semente nella nostra vita e chi incontra Gesù viene conquistato dalla sua Parola ed essa porta frutto ed è luce del nostro cammino. La misericordia è la forma storica del mistero trinitario d’Amore; Dio è Misericordia e la Sua Parola è un lieto annuncio. La parola di Dio per tutti e ciò che i volontari vivono nelle carceri può diventare un dono per gli altri e contribuire a cambiare qualcosa nella società.

Brescia di Laura di Palma

PERSONE OLTRE IL MURO

PERSONE OLTRE IL MURO

È stato recentemente pubblicato dal CE.DO.C. un volume collettaneo dal titolo «Angelo Canori, testimonianze e scritti». Il testo è ovviamente un ricordo di Canori, ma non ha voluto essere, a mio avviso riuscendovi, soltanto commemorativo; la mancanza del signor Angelo, infatti, costituisce ancora oggi, a distanza di 30 mesi dalla sua scomparsa, un vuoto notevole per il volontariato penitenziario bresciano. Serviva quindi che il suo esempio fosse messo a disposizione di tutti coloro che si cimentano in questa non facile opera di attenzione verso il mondo dell’esecuzione penale, in modo da farlo diventare un insegnamento, e questo scritto ci riesce.

Sono consapevole del fatto che potrebbe apparire riduttivo ricordarne il solo impegno come volontario penitenziario, poiché Canori, è stato uomo della risposta ai bisogni umani, in molti degli aspetti in cui essi si manifestano; tuttavia per me, che ho avuto la fortuna di affiancarlo a lungo negli anni della sua presenza in Carcere e Territorio, questo è l’elemento che genera un ricordo e un apprezzamento indelebili. Egli scelse, con la propria esistenza, non con un pezzetto seppur importante, ma con l’interezza della sua esistenza, di sperimentare l’impatto della solidarietà fiduciosa a favore di un cambiamento radicale nelle altrui vite, comprendendo che tale offerta di solidarietà avrebbe dovuto e potuto passare solo attraverso la modifica dei determinismi soggettivi e oggettivi che governano le scelte, anche quelle sbagliate.

Canori ci ha insegnato che l’apporto del volontariato penitenziario, indipendentemente dalle appartenenze religiose, dalle coscienze etiche e dalle consapevolezze giuridiche che lo muovono, deve avere come perno e snodo del proprio intervento la valorizzazione della dignità di ogni persona, anche e soprattutto se si tratta di una persona condannata per aver commesso un reato.

«Il recupero dei detenuti è qualcosa a cui non si può rinunciare. Guai alla società che infligge una pena fine a se stessa» — era solito dire il compianto Presidente del VolCa. In questa prospettiva egli ha sempre promosso, pungolando chi doveva essere pungolato, l’idea di una comunità che deve sapersi fare carico della propria funzione attiva rifuggendo la tentazione, così facilmente riscontrabile, del chiamarsi fuori, schermandosi dietro l’indifferenza o, peggio, la diffidenza e il pregiudizio. Il volontariato che Canori ci ha insegnato non è e non sarà mai solo quello dei bisogni immediati delle persone, cui comunque va data una risposta, ma si erge su un’opera costante di sostegno e orientamento della persona per consentirle di reperire la capacità, presente in ciascuno di noi, di emanciparsi dalle proprie difficoltà per costruire il proprio domani, partendo da un coerente inventario delle risorse disponibili. Ovviamente è sempre stato pronto ad aumentare tali risorse, ma non ha mai rinunciato a far comprendere il senso di un atto d’aiuto, anche in termini di responsabilità, a chi ne era destinatario.

Parimenti ha sempre agito per far capire alla comunità, dai vertici amministrativi al semplice cittadino disorientato, il significato profondo di tale responsabilità. Il suo volontariato è così diventato una scelta di fede e di passione, come ricorda una degli autori, dimostrando la sua «saggezza, la volontà ferma, la capacità di decidere, l’intelligenza pratica, la severità misurata, la passione nel fare e il sano senso dell’umorismo» ma anche «la capacità di mettere in pratica soluzioni concrete, rapide, tempestive ed efficaci anche di fronte a situazioni umane e sociali particolarmente problematiche».

Un libro che consiglierei di leggere a chiunque voglia farsi un’idea dell’esecuzione penale vista da vicino, e soprattutto a chi abbia voglia di impegnarsi per renderla più umana, come ha fatto Angelo Canori.

Carlo Alberto Romano
Il Covid non ferma la solidarietà dei volontari nelle carceri bresciane

Il Covid non ferma la solidarietà dei volontari nelle carceri bresciane

Il Covid ha dato un duro colpo anche alle attività che il territorio bresciano offriva all’interno degli Istituti di pena. Da febbraio sembra siano stati cancellati decenni di iniziative e attività che il volontariato penitenziario e le realtà del terzo settore offrivano alle persone detenute. E, se ancora oggi le cautele inerenti il contagio non consentono la ripresa di molte attività interne, chi da sempre opera in favore dei reclusi non ha comunque smesso di occuparsene. Nell’ultimo anno l’associazione di Volontariato Carcere (Vol.Ca.) e la Cooperativa Sociale di Bessimo hanno continuato a rifornire di vestiario, biancheria, calzature, prodotti per l’igiene i due istituti di pena bresciani.

Lo hanno fatto su richiesta diretta della direzione e con fondi propri ma anche grazie al contributo del progetto «Insieme contro l’emarginazione», sostenuto con i fondi PON / FSE a titolarità del Comune di Brescia, che si occupa, in collaborazione con le realtà cittadine che si impegnano nell’ambito della grave marginalità, proprio della distribuzione di generi di prima necessità per le fasce di popolazione più vulnerabili. Così centinaia di mutande, calze, spazzolini, dentifrici, giubbini, tute, scarpe hanno raggiunto le molte persone detenute che non hanno modo di acquistarli direttamente o non hanno famigliari che possono inviarli da fuori.

Nel periodo del Covid anche le famiglie dei detenuti hanno potuto vedere pochissimo i loro congiunti privati della libertà: videocolloqui e lettere non possono sostituire un colloquio in presenza, non solo perché manchevoli di contatto fisico, ma anche perché un cambio di vestiti non può essere inviato via Whatsapp. Se a questo si aggiunge la chiusura del servizio guardaroba da anni gestito da volontari Vol.Ca. si può facilmente intuire come il personale di Polizia Penitenziaria si sia dovuto, purtroppo, sobbarcare anche problematiche prima non di loro competenza.

Da qui le richieste, molto più voluminose del solito, di supporto esterno nel rifornire dei molti generi di cui necessita la quotidianità. Oltre a rivolgersi all’interno del carcere, i volontari e gli operatori di Vol.Ca e Bessimo si stanno occupando anche della distribuzione di uno zaino per quei detenuti scarcerandi che, usciti dalla cella, non possono tornare a casa semplicemente perché non ce l’hanno. Per loro, doppiamente segnati dagli squilibri di questo sistema sociale in quanto ex detenuti e senza dimora, un kit con beni di prima necessitàverrà consegnato presso la sede dell’associazione di via Pulusella: sacco a pelo, materassino, zaino con alcuni generi di prima necessità ma soprattutto un contatto, un consiglio, un supporto per cercare, insieme, una via di affrancamento ed emancipazione.

La Cooperativa di Bessimo Onlus è una cooperativa sociale che opera dal 1976 nel campo del recupero e reinserimento di soggetti tossicodipendenti. Gestisce 15 Comunità Terapeutiche, 1 comunità educativa per minori e madri in difficoltà, 1 servizio specialistico residenziale per disturbi da gioco d’azzardo patologico, servizi di prevenzione e di riduzione del danno, servizi e progetti in area penale, attività e progetti sulle province di Brescia, Bergamo, Cremona e Mantova. Dal 1976 la cooperativa ha accolto 7.180 persone realizzando oltre 10.100 programmi terapeutici ed educativi.

Il Vol.Ca (Volontariato Carcere)
 è nato a Brescia nel 1987 per volontà dell’allora vescovo, mons. Bruno Foresti, come gruppo di persone laiche impegnate nel volontariato e come espressione ed appoggio della Pastorale Carceraria della nostra Diocesi, che opera nei due istituti carcerari della città. Era il 1994 quando il gruppo si costituì come associazione Onlus.

(Redazione “quibrescia.it”)

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

QUANDO UNA LETTERA PUO’ RISCALDARE IL FREDDO DI UNA CELLA

Oggi più che mai, immersi negli incontri on line e nelle conferenze in remoto, ci possiamo rendere conto che c’è chi, scontando la sua pena in carcere, vive ancor più che in altri tempi, per motivi ormai evidenti, le limitazioni delle visite di parenti e volontari.

Nasce il fatto che sta assumendo ancor più importanza la ‘visita’ attraverso uno strumento di socializzazione e di vicinanza che per molti è passato ormai di moda: la lettera.

L’iniziativa che promuoviamo qui è denominata Opera Francescana Madrine Carcerati e ha sede proprio sul nostro territorio Bresciano (Rezzato) la quale ha come scopo quello di raggiungere i detenuti che ne esprimano il desiderio, attraverso la corrispondenza epistolare.

…da leggere e diffondere!!!

 

Intervista alla Direttrice Francesca Paola Lucrezi sulla Voce del Popolo

Intervista alla Direttrice Francesca Paola Lucrezi sulla Voce del Popolo

Dalla Voce del Popolo sul mondo carcere (del 24 settembre 2020)

   Ci  siamo  scordati  del  carcere?

Passati i mesi più duri della pandemia il viaggio in un mondo che, dopo le proteste dei primi giorni del lockdown, è stato dimenticato dai media

                                                                                                         di Massimo Venturelli

         È stato detto più volte che tra le tante sofferenze che la pandemia da Covid-19 ha portato con se, oltre a quella della morte e della malattia, c’è anche quella della solitudine. L’isolamento sociale a cui tutti sono stati costretti per tante settimane e che abbiamo superato (non senza conseguenze che oggi cominciano a essere visibili) ha lasciato su tante persone un segno, una traccia indelebile.

La sensazione di sentirsi soli, abbandonati, è una di quelle che non si dimenticano in fretta. Piano piano la morsa, però, si è allentata un po’ per tutti, tranne per che per il mondo del carcere, ancora isolato per quello che riguarda i contatti con l’esterno. Un mondo che, tra l’altro, sembra essere diventato invisibile. Perché se in questi mesi non è mancata l’attenzione, magari anche solo per la cronaca “sanitaria” per altri luoghi della sofferenza come gli ospedali, le Rsa e le strutture di accoglienza per i senza fissa dimora, di carceri si è parlato in avvio del lockdown per le violente proteste andate in scena in alcune strutture. E poi più nulla! Questa situazione è stata affrontata con Francesca Paola Lucrezi, direttrice delle strutture carcerarie di Brescia e Verziano.

Per le carceri bresciane quello del lockdown che tempo è stato?

Quelli che abbiamo vissuto sono stati mesi difficilissimi. In un ambiente ristretto e chiuso come il nostro, separato dall’esterno, un maremoto come quello che abbiamo vissuto è stato amplificato. È stato difficile far capire ai detenuti, nonostante avessero informazioni costanti date dai giornali, dalla televisione, cosa realmente stava accadendo fuori. Anche per persone abituate alla reclusione non è stato facile comprendere e accettare le limitazioni via via imposte. Non toccando, fortunatamente con mano, la gravità di quanto stava accadendo, inizialmente non hanno compreso la ragione di certe scelte. Ma con il dialogo e la disponibilità al confronto di tutte le componenti della comunità carceraria, a partire dall’autorità giudiziaria, dalla Garante dei diritti dei detenuti che, in una occasione ha potuto incontrare una rappresentanza dei detenuti, si è riusciti a far comprendere la realtà e la necessità di mettere in atto misure che scongiurassero l’ingresso del virus a Verziano.

La pandemia ha portato un cambiamento nel vostro lavoro?

Il nostro lavoro ha conosciuto uno stravolgimento totale. Siamo stati completamente assorbiti dalla pandemia; abbiamo dovuto attrezzarci innanzitutto per capire cosa stava succedendo e quali erano le conseguenze, per comprendere come applicare le direttive e le normative che il Governo, la Regione e anche l’amministrazione carceraria andavano emanando a ritmi vertiginosi e che a volte sembravano in contraddizione l’una con le altre. Il punto di forza per fare fronte a tutto questo è stata la coesione che si è creata sin da subito tra il personale e tra questo e i detenuti. 

Tutto questo ha permesso di fermare il virus ai cancelli di Verziano?

Fortunatamente sì. Abbiamo avuto pochissimi casi, che sono stati prontamente isolati, tra il personale. Per quanto riguarda i detenuti, in tutto questo periodo abbiamo avuto solo tre casi di positività al virus, per altro tutti asintomatici, che non hanno creato focolai interni, perché prontamente isolati grazie anche alla collaborazione della sanità penitenziaria che ci è stata e continua a esserci a fianco. Abbiamo potuto contare anche sulla presenza del personale sanitario di Medici senza frontiere, grazie a un progetto voluto dal Provveditorato regionale lombardo. Ci hanno consigliato al meglio rispetto alle procedure da adottare. Abbiamo fatto tamponi a tappeto per cercare eventuali casi di positività anche dove non c’erano segni evidenti della presenza del virus.

Il periodo di isolamento forzato a cui il carcere è stato costretto finirà con l’incidere su tutti quei legami stretti nel corso degli anni con il mondo esterno?

No, i rapporti consolidati che hanno alle spalle una lunga storia non sono stati intaccati dal lockdown.Penso al mai interrotto rapporto con il Tribunale di inviare tanti detenuti a misure alternative. Penso al dialogo mai interrotto con il mondo del Terzo settore che, anche nei momenti più bui, ha messo a disposizione risorse, anche proprie, per rendere possibile l’uscita dal carcere a chi era nelle condizioni di potere usufruire di questa misura. In questi mesi, poi, nonostante la sospensione di tanti progetti, non è mai venuta meno la vicinanza di tante persone legate alla realtà di Verziano.

Quale eredità lascia la pandemia al mondo del carcere?

Credo che un’eredità da non perdere sia quella della digitalizzazione. Abbiamo scoperto che tante cose che si pensavano impossibili da realizzare all’interno degli istituti, sono state utili. Penso alle videochiamate che hanno permesso ai detenuti di restare in contatto con i familiari, o al sistema della didattica a distanza usata per i percorsi scolastici, ai colloqui via internet con i volontari… questo ha aperto una strada. L’errore più grande, una volta tornati alla normalità, sarebbe quella di dimenticarsene.