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É un luogo che gli uccellini sorvolano impauriti – Testimonianza

É un luogo che gli uccellini sorvolano impauriti – Testimonianza

Nelle tante domande ricevute dai ragazzi durante l’incontro tenuto presso il liceo scientifico “Leonardo” di Brescia, la richiesta di ogni singolo ragazzo era indirizzata a sapere come si vive in carcere, cos’è il carcere e quali sono le conseguenze a livello personale che il carcere può lasciare; le risposte sono state varie anche se tutte sapevano di sofferenza.

Sì, perché il carcere per me è sofferenza, è solitudine, è un completo isolamento dal mondo esterno e una lacerante lontananza da famigliari e persone care. Il carcere è un foglio sporco d’inchiostro strappato a metà, è un luogo dove cerchi fiori sul cemento e un po’ di verde su cui camminare, è un luogo privo di colori, dove cerchi risposte senza porgere domande, dove cerchi sorrisi tra un mare di lacrime annegando nella comune sofferenza, il carcere è un luogo che gli uccellini sorvolano impauriti, è una battaglia persa per tutti, è un luogo buio e dimenticato, dove timidamente solo il sole, filtrando tra le sbarre, sembra avere il coraggio di entrare, il carcere è un luogo dove esistono abbracci e dove le lancette sembrano fermarsi, dove i capelli si sporcano di bianco, il carcere è sofferenza.

Poi esistono loro, persone che ti offrono un sorriso gratuito, che ti accolgono, ti ascoltano, persone che quotidianamente attraversano i cancelli portando con sé una carezza e un po’ di speranza. I volontari per noi detenuti sono colori e grandi prati fioriti, sono attimi di un po’ di speranza. I volontari sono il domani.

Aver avuto la possibilità di condividere un’esperienza al loro fianco, con l’obbiettivo di offrire un consiglio, è stato per me motivo di grande orgoglio, poter raccontarmi e raccontare cosa rappresenta il carcere a ragazzi che stanno lasciando un’impronta sul sentiero che li condurrà verso un domani difficile e pieno di responsabilità, quasi come fossi una amico piuttosto che un fratello maggiore, è stato per me un ulteriore passo verso l’allontanamento da un passato che, da tempo, non sento più mio.

Grazie a tutte le persone che hanno dato la possibilità di esserci, perché è stata un’esperienza da cui esco decisamente arricchito, nella completa consapevolezza che, aprendo le porte delle prigioni che uno si porta dentro, tendendo una mano o semplicemente offrendo un piccolo aiuto, si aiuta in primis se stessi, rendendo il carcere un luogo di riflessione prima e di un domani sicuramente migliore, poi.

R.F.

Testimonianza di un permesso

Testimonianza di un permesso

Scrive un volontario:

É il mio primo accompagnamento.

Un permesso di 4 ore, viaggio compreso. La terza uscita dopo 21 anni dentro, una minuscola scheggia di un fuori agognato. B. arriva quasi trafelato all’ingresso con un piccolo regalo per il nipotino sconosciuto e uno per la famiglia.
Dopo tre quarti d’ora di viaggio e di visto in caserma arriviamo. Entriamo nella piccola sala-cucina dove si stanno ultimando i preparativi per il pranzo, dopo i necessari saluti mi metto un po’ in disparte e osservo: baci e abbracci a tutti i presenti.
Due figli visti raramente, nipoti di cui non conosce il nome e l’anziana madre, l’unico contatto con il mondo di fuori, con il mondo del “prima”, l’unica persona che da sempre, un paio di volte al mese, fa visita a questo figlio rinchiuso. É lei che dirige i preparativi per il pranzo.
É un pranzo molto buono, sembra percorso da un sottile disagio per la presenza di questo padre, zio, suocero, figlio solitamente invisibile, forse un po’ dimenticato e che ora è lì a calamitare l’attenzione e un po’ di curiosità. Una presenza che forse spiazza.
Questa situazione mi ha fatto pensare a un acquario con un tempo un po’ sospeso, dove ognuno cerca di collocarsi, dove le parole sembrano giusto il riempitivo sonoro a un silenzio di contenuti, a un imbarazzo palpabile; come se ognuno cercasse di recitare la sua parte senza riuscire a capire cosa fare, cosa dire, come muoversi. Un tempo sospeso.

Durante il viaggio di ritorno mi ha raccontato che riesce a tirare avanti perché ha deciso di non voler conoscere nulla di quello che accade fuori, di quello che accade alle sorelle, ai figli, ai nipoti, alla sua prima moglie; così riesce ad avere la testa libera, senza pensieri su cui rimuginare e che lo potrebbero preoccupare. La sua vita mi ha fatto pensare a una doppia esclusione, una subita e una scelta.
L’unico legame con il fuori, contatto con il prima, è la sua mamma, questo mi ha suscitato una grande tenerezza, una sorta di sottile cordone che lo lega alla sua origine.

GB